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All'alba del terzo millennio,
l'Oratorio di Chioggia ristampa questa biografia sintetica e
agile per una stimolante riscoperta della figura e dell'opera
di Filippo Neri (1515-1595), singolare testimone di Cristo.
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giovani,
adulti, ecclesiastici, ricchi, poveri, malati, emarginati. Visse sempre evangelicamente, partecipando in forma attiva alle problematiche del suo tempo, per tanti aspetti singolarmente simili a quelle di oggi. Il suo stile di vita e il suo modo di far apostolato possano essere una proposta per quanti, cercando Dio, sanno gustare la gioia cristiana, la contemplazione, l'amore per il prossimo. |
Uno
dei primi ritratti di Filippo Neri. "Era Filippo di statura mediocre,
di carnagione bianca, di viso allegro, e nella sua gioventù fu di bellissime
fattezze; aveva la fronte rilevante e spaziosa, non però calva; il naso
aquilino; gli occhi piccoli e di color celeste, alquanto in dentro,
ma vivaci; la barba nera e non molto lunga se bene negli ultimi anni
canuta, e del tutto bianca".
(È una descrizione
quasi fotografica del suo biografo Pier Giacomo Bacci, 1622).
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Filippo trascorre la giovinezza in un periodo di profonda crisi della Chiesa, scossa dalla bufera del luteranesimo.
PIPPO BUONOFirenze gli dà i natali il 21 luglio 1515, mentre la lotta religiosa ("il terribile incendio dell'eresia luterana") della Riforma protestante si trasforma in lotta politica, economica, sociale.Il laicato è corrotto, il clero rilassato, le istituzioni tiranniche, la società avvilente. Occorre moralizzare l'esistenza, riportare la vita a una nuova forma umana più degna, più civile. Filippo Neri vi concorrerà, con altri - al di là della grande espressione del Concilio di Trento - col suo impegno personale e la sua istituzione, con grande coraggio e vigore. Non vi sono fatti eccezionali nell'infanzia di Filippo Neri. È un ragazzo felice, docile, portato al sorriso, allo scherzo, alla bellezza; è dotato di una straordinaria dolcezza e di amore verso i familiari, gli amici, gli animali, tanto che i fiorentini, e poi i romani, trovano per lui il soprannome di Pippo Buono. La sua prima scuola di spiritualità, il luogo dove coltiva la sua pietà è il convento di San Marco dei padri domenicani; lì aveva operato il beato Angelico; lì viveva |
il ricordo di Savonarola e si venerava la memoria di Sant'Antonino, arcivescovo di Firenze. Dirà più tardi ai domenicani della Minerva in Roma: "Quello che dal principio della mia età ho avuto di buono, l'ho avuto dai vostri Padri di San Marco in Firenze". Non ha ancora diciotto anni quando espatria: tenta la fortuna - spinto dal padre - presso lo zio Romolo, agiato mercante senza figli, che abita a San Germano, all'ombra di Montecassino. Qui si dedica agli affari con il suo abituale buonumore tra pezze di broccato e di damasco, panni di Prato e tele di Siena, ma pianta tutto in breve tempo. Riconosce di aver ricevuto dal Signore un tesoro di talenti; ma come conservarli? Come farli fruttificare? Occorre ben altro che l'accortezza di un mercante quale è lo zio. Filippo ha un segreto: ama Dio. Fin dagli anni più puerili, fin dal tempo in cui la mente sembra distinguere e prediligere soltanto persone e cose prossime, aveva provato questo amore che a nessun altro somiglia, perché solleva la creatura fino al suo Creatore. Amare Dio! La presenza del santuario benedettino, dov'è non tarda ad acquistarsi benevoli amicizie tra quei monaci e divenire ben accetto ai più dotti e ai più santi, la "Montagna spaccata" di Gaeta, la cui |
originalissima fenditura - una pia tradizione - avvenne nel momento stesso in cui Cristo spirava sulla croce e dove il Santo passa le notti in contemplazione, nel silenzio e di fronte all'immensità del mare, lo aiutano a prendere la decisione irrevocabile di darsi completamente a Dio.
Il giovane Pippo mentre strappa il foglio dell'albero genealogico del suo casato. Altre sono le sue ambizioni.
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La sua meta è la sede di Pietro, la terra dei martiri stremata umanamente e moralmente.
VERSO ROMAParte, pellegrino povero, verso la città desiderata, la terra dei martiri, la sede di Pietro: Roma. È una Roma miserabile umanamente e spiritualmente, quella che incontra Filippo, la Roma sanguinante e umiliata dal Sacco del 1527, ma che mostra di voler tornare alla vita facile e dei facili piaceri di prima: egli ne diviene a poco a poco l'anima fino a diventarne l'Apostolo. Fra gli anni 1533-34 vive presso un conterraneo, il fiorentino Galeotto Caccia, che in compenso dell'educazione dei due figli, gli dà l'alloggio e un poco di vitto: pane, cacio, olive e acqua fresca. Completa la sua formazione spirituale alla Sapienza, si dedica alla preghiera, alla penitenza, alla visita delle Sette Chiese, alla cura degli ammalati più gravi e delle infermità più ripugnanti. Non perde occasione di attirare anime a Dio con l'esempio, la parola facile, l'atteggiamento amabile, la carità vissuta e l'arguzia pronta, da buon fiorentino. |
Nelle catacombe di San Sebastiano riceve lo Spirito Santo sotto forma di globo di fuoco, che gli lascia una breccia nel petto.
UN SEGNO DELL’AMORE DIVINOUn luogo, a Roma, è particolarmente amato e frequentato da Filippo: le catacombe di San Sebastiano, una immensa, silenziosa necropoli dei primi martiri. Qui, una notte, la vigilia della |
Pentecoste del 1544, mentre prega ardentemente, il Signore gli si manifesta sotto forma di globo di fuoco che gli penetra nel petto spezzandogli due costole dal lato del cuore. “A guisa di uno che va cercando refrigerio, [Filippo] si slacciò dinanzi al petto per temperare in parte quella gran fiamma, che vi sentiva: [...], levatosi in piedi, sentissi ripieno d“insolita allegrezza ed immediatamente tutto il suo corpo cominciò a sbattersi con moto e tremore grandissimo, [ ..] non vi sentendo dolore, nè puntura di sorte alcune, nè per allora, nè mai". Il volto gli risplende, il cuore palpita violentemente, da non poter contenere tanto ardore, e cerca nuovo spazio nella corporea prigione: Filippo, a braccia aperte, è come atterrato dalla sua Pentecoste. |
Dopo questa investitura divina, la sua ascesa lungo la via della perfezione è continua.
CONFRATERNITA DEI PELLEGRINI E CONVALESCENTIPassano gli anni e la sua ascesa lungo la via della perfezione si svolge così continua che Filippo non avverte di salire; ogni suo giorno è così ricco di opere che la visione di tutto il lavoro compiuto gli sfugge.Laico e libero, angelico vagabondo di Dio, con altri compagni di vita devota fonda, nel 1548, la Confraternita della Santissima Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, che diventa ben presto una scuola di volontariato per molti collaboratori: infiammato dallo Spirito Santo, brucia ardentemente per i poveri, i sofferenti, i tanti infelici che - usciti dagli ospedali - vivono di stenti; accoglie i pellegrini "romei" (è imminente l'Anno Santo 1550), ne fascia le ferite da buon samaritano e a tutti offre la sua grande premura, la sua parola lieta e consolatrice. Per i primi tempi i pellegrini sono pochi, ma ben presto riempiono tutta la casa; e quando il rivolo diventa fiume, se ne allestisce un'altra assai più grande. Filippo è l'anima di quell'ospitalità: onnipresente, infaticabile, tutto ardore. |
Introduce la pia usanza della visita agli ospedali, assistendo soprattutto gli ammalati più poveri.
Offre aiuto ai pellegrini dell'Anno Santo Molte volte si inginocchia a lavare i piedi dei poveri viandanti, imitando l'esempio di Gesù Cristo. Intona per primo i cantici dell'alba e della sera. I suoi aiutanti lo seguono infervorati e, via via che i bisogni crescono, diventano sempre più numerosi, come provvidenzialmente fluiscono, senza che nemmeno si chiedano, i fondi necessari a tanto
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considerevoli spese. Ormai la Confraternita della Trinità fa parlar di sè tutta Roma, il suo nome va coi pellegrini oltre i monti e i mari; tanto che molti vogliono esservi iscritti per offrire l'opera e l'obolo. Filippo si meraviglia di quel prodigioso fiorire sotto ai suoi occhi: è un umile servitore, che guarda al suo prossimo più vicino; che, non presumendo delle sue forze, si contenta di poco; e ogni volta raccoglie frutti favolosi. |
Alla testa di un gruppo sempre più numeroso di volontari vive l'esempio del servizio al prossimo.
SACERDOTE PER TUTTINel 1551, a 36 anni, Filippo è ordinato sacerdote in San Tommaso in Parione, per obbedienza al suo confessore Persiano Rosa e si sistema nel convento di San Girolamo della Carità, a un passo da piazza Farnese. La sua vita subisce, ora, un fondamentale mutamento.San Girolamo è un ambiente sereno: in un'angusta cella, poi in un granaio poco a poco sistemato a cappella, Filippo riunisce nobili e popolani, preti e religiosi, cortigiani, artisti, sfaccendati, devoti, curiosi, in un incontro quotidiano in funzione formativa. La porta ` sempre aperta: per entrare o per uscire. Ma una volta entrati, è difficile uscire.  Qui si attuano i due aspetti della vita e della santità di Filippo Neri.  La messa quotidiana, dove si unisce estaticanente a Dio fino al punto di bruciare letteralmente d'amore da dover gridare: "Non più, mio Signore, non più". Chi lo assiste si ritira alla consacrazione e lo lascia solo per un paio d'ore, finch èé per qualche rumore non fa segno di poter rientrare e "lo trovavano per |
lo più in tale stato, che pareva che spirasse".
La sua camera al convento di San Girolamo è la prima sede della sua Congregazione.
L'amministrazione del sacramento della confessione, per cui è assediato dai fedeli conquistati dalla tenerezza di questo prete, non ha perso la semplicità, nonostante sia diventato consigliere dei papi e amico di santi.
Ma Filippo non si accontenta di confessare e di assolvere; egli si prende cura totalmente delle anime che gli si
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affidano; le accoglie nella sua cameretta, parla con loro "familiarmente" della fede, della vanità delle cose del mondo, della bellezza delle virtù, del premio dei buoni, spesso eccitandosi delle cose celesti per mezzo di armonie musicali. Nasce così quella che sarà la sua opera più geniale: l'Oratorio.
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Una vita cristiana più intensa è il modello proposto ai suoi seguaci.
L'ORATORIOSi trasferisce in una sala più grande (la camera è diventata troppo piccola e angusta) e in una atmosfera serena il padre Filippo riunisce attorno a sè un gruppo di persone che aspirano a una vita cristiana più intensa e, senza dare origine a mastodontiche strutture, con semplicità e umiltà lavora nel terreno incolto della Roma cinquecentesca.Introduce l'uso della predicazione quotidiana, in forma piana, della Parola di Dio; insegna la pratica frequente del sacramento della Riconciliazione e cura incessantemente la direzione spirituale. Pone a fondamento della vita di fede, sua e dei suoi discepoli, le solide basi della spiritualità cristiana: la preghiera, lo studio delle opere dei Padri e della storia della Chiesa. Coglie con intelligenza viva e serenità di spirito i valori autentici che la cultura umanistica del suo tempo va riscoprendo e, innestati sui valori perenni del cristianesimo, li pone come cardini del suo progetto educativo. È suo grande merito l'aver riportato in chiesa |
l'arte sia pittorica che musicale, cacciata nei secoli bui perchè paganeggiante negli atteggiamenti e nei contenuti: Filippo la rinverdisce e la restituisce al servizio di Dio e dei cuori.
Opere di carità, ricreazione sana e in luoghi aperti, vita sacramentale, canto, sermone riportano l'uomo a gustare, a vivere l'insegnamento di Cristo, creano un ambiente che riesce simpatico e attraente, quasi una palestra dello spirito, aperta ed efficace. |
Così Filippo Neri rinnova la Chiesa non con la veemenza di un Savonarola, nè con la prepotenza di un Lutero, ma con la forza dolce di un Santo; egli opera in Roma in modo spiritualmente fecondo, umanamente amabile, moralmente trascinante, propagando la vita spirituale in mezzo al clero e ai laici di tutte le condizioni sociali e in tutte le situazioni della vita. Intanto l'Oratorio si afferma sempre più. Da esso escono il padre della storia ecclesiastica Cesare Baronio, riformatori sulla scia del Concilio di Trento come Tarugi, Bordini, Ancina, musicisti quali Animuccia, Anerio, Palestrina, Victoria, Soto che porteranno un fondamentale contributo allo sviluppo del canto e della musica sacra polifonica, Bosio e Severano che daranno inizio all'archeologia cristiana, Pompeo Pateri, organizzatore di opere pie e di monasteri, oltre che scrittori come Manni o agiografi come Gallonio, Bacci e altri che completeranno e rafforzeranno il nuovo istituto con l'umiltà e l'esempio virtuoso. |
La sua predicazione è per i giovani. Per i ragazzi abbandonati è padre e maestro.
TRA I GIOVANIFilippo dimostra la sua predilezione per la gioventù, fin dai primi giorni di San Germano, quando intrattiene i ragazzi dei lavoratori; da lui i figli di Galeotto Caccia sono educati e condotti sulla via della perfezione.Si aggira - scrivono i suoi biografi - fra le botteghe e le viuzze raccogliendo i fanciulli sperduti e abbandonati a se stessi: si fa naturalmente loro amico, diviene compagno di giochi, osservatore attento dei loro moti istintivi, dei primi turbamenti. Per essi è padre e maestro. D'altra parte, i ragazzi gli vanno incontro come le farfalle alla luce, attratti dalla sua affettuosa amabilità, dalla sua allegria. Non apre scuole, nel senso usuale della parola, nè traccia programmi o norme teoriche di insegnamento: organizza "liete brigate" sia di fanciulli che conduce sul Gianicolo a giocare a piastrella, sia di adulti per fare devozioni (come la visita alle Sette Chiese). È un educatore paziente e bonario, comprensivo e sorridente. Preoccupazione costante di padre Filippo era di rendere piacevoli e simpatiche le cose di Dio. |
Egli aveva compreso che non è sufficiente opporsi al vizio, ma che è necessario proporre qualche cosa di alternativo e di elevante. Con i giovani non basta la denuncia del male, ma occorre la proposta positiva del bene. Occorre non solo essere "contro", ma "a favore" di qualche cosa di valido e coinolgente. Di qui l'utilizzazione di ogni mezzo buono e bello per educare.
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Per Filippo il giovane ha molte possibilità, però va stimolato, seguito, sostenuto, incoraggiato. Il giovane è nello stesso tempo debole, ma può raggiungere grandi mete se fa uso dei sacramenti e della preghiera, se è aiutato a vivere nella gioia e senza peccato, tra sani divertimenti e impegno caritativo. Lo spirito educativo del buon padre Filippo si intuisce quando si fa "fanciullo coi fanciulli, sapientemente", come appunto sa fare la madre, piccola con la sua creatura; quando ai suoi monelli ripete spesso: "State allegramente, che così mi contento, nè altro voglio da voi, se non che non facciate peccati". |
Egli aveva compreso che non è sufficiente opporsi al vizio, ma che è necessario proporre qualche cosa di alternativo e di elevante. Con i giovani non basta la denuncia del male, ma occorre la proposta positiva del bene. Occorre non solo essere "contro", ma "a favore" di qualche cosa di valido e coinolgente. Di qui l'utilizzazione di ogni mezzo buono e bello per educare.
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Per Filippo il giovane ha molte possibilità, però va stimolato, seguito, sostenuto, incoraggiato. Il giovane è nello stesso tempo debole, ma può raggiungere grandi mete se fa uso dei sacramenti e della preghiera, se è aiutato a vivere nella gioia e senza peccato, tra sani divertimenti e impegno caritativo. Lo spirito educativo del buon padre Filippo si intuisce quando si fa "fanciullo coi fanciulli, sapientemente", come appunto sa fare la madre, piccola con la sua creatura; quando ai suoi monelli ripete spesso: "State allegramente, che così mi contento, nè altro voglio da voi, se non che non facciate peccati". |
Li guida senza far sentire le redini e li riprende con autorità liberatrice, senza opprimere col biasimo o il castigo. È per tutti "il santo della gioia" per lo spirito di letizia che dimostra spontaneamente sempre e che comunica agli altri. Il classico "Servite il Signore nella gioia" è per lui vita della vita, aprendo una strada a quanti - dopo di lui - si ispireranno a questa norma, trovando in tale clima la forza di purificazione e di superamento di sè. La sua scuola diventa così attraente, perchè gradita. |
Famosi i suoi "detti" arguti e sapienti, insegnamenti rapidi ed efficaci.
IL GRANDE SEMINATOREFilippo non stanca mai di sorprenderci: siamo affascinati dal modo ilare e disteso con cui sa educare. Lo fa anche con la parola, l'esempio, ma soprattutto con l'uso di brevi e sapide massime o "detti", dietro la cui arguzia è possibile avvertire l'acuta e realistica conoscenza che egli va acquistando della natura umana e della dinamica della grazia.In questi insegnamenti rapidi e concisi il buon Padre traduce l'esperienza della sua lunga vita e la sapienza di un cuore abitato dallo Spirito Santo. Egli, infatti, non si stanca di ripetere a tutti frequentemente: "Figlioli miei, state umili e state bassi", per invitare al distacco delle cose materiali; a chi gli fa notare l'eccessivo chiasso dei suoi ragazzi, da vero educatore, risponde: "Purchè: non facciano peccati, volentieri sopporterei che mi spaccassero la legna addosso". Nei momenti di maggiore turbolenza ai giovani dice: "State un po' fermi, se potete". E poi aggiunge: "Beati voi, giovani, che avete tempo di fare ancora tanto del bene"; e anche: "Figlioli, state allegri. Scrupoli e |
malinconie, fuori di casa mia".
Per conservare nei fanciulli l'innocenza e nei giovani la purezza è insuperabile. Gli ritorna spesso questo avvertimento: "Fuggite le cattive compagnie, non nutrite troppo delicatamente il corpo, aborrite l'ozio, pregate molto, frequentate i sacramenti e particolarmente la confessione".
A chi deve fare una scelta di vita consiglia: "Per eleggere uno stato di vita ci vuole tempo, consiglio e orazione".
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Portando una mano alla fronte suole dire argutamente: "La santità consiste in tre dita di spazio", per invitare alla mortificazione, a non sopravvalutare l'intelligenza. Parlando della sofferenza da sopportare nel mondo, esclama: "Chi non va all'inferno vivo, porta gran pericolo di andarvi dopo la morte", oppure: "Non cercate mai di fuggire quella Croce che Iddio vi manda, perchè di sicuro ne troverete un'altra maggiore"; e ancora: "Chi cerca la consolazione fuori di Cristo non la troverà mai". Nel congedare i fedeli, dopo le funzioni religiose, esorta: "Orsù, la vostra ora di pregare è finita, ma non è finito il tempo di fare il bene". E ai suoi figli spirituali non può non raccomandare con insistenza: "Siate devoti di Maria perchè questo è il mezzo migliore per ottenere grazie da Dio". E conclude sempre ogni suo dire con la sublime parola: "Paradiso! Paradiso!..." Da queste parole vive, da questi inviti alla pratica delle virtù, diventati ormai per la spritualità cristiana una sorte di patrimonio sapienziale, si possono rilevare i caratteri della spiritualità del geniale Santo: la comprensione accogliente verso tutti, la carità esercitata soprattutto nei confronti dei più bisognosi, la mortificazione intesa più che altro come forma di lotta interiore contro la |
vanagloria e la superbia, la letizia come connotazione essenziale di chi è consapevole della sua fortuna di essere figlio di Dio.
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Carità verso i più bisognosi; lotta interiore contro la vanagloria; letizia di chi sa dí essere figlio dí Dio.
UNA FAMIGLIA NUOVA NELLA CHIESANel settembre del 1563 una grave malattia colpisce Filippo: si teme il peggio e intorno a lui i discepoli e gli amici pregano, preparandosi a una separazione dolorosa.Ma Filippo, il malato così grave da ricevere quattro volte l'estrema unzione, il paziente che i medici più famosi di Roma disperano di salvare, dichiara serenamente che sarebbe guarito. E infatti, si rialza, ricomincia senza risparmio la sua vita di sempre, ma... capita qualcosa di nuovo. I cittadini e mercanti fiorentini di Roma lo vogliono come rettore della loro chiesa di San Giovanni in via Giulia. Non gli è possibile rifiutare, Filippo accetta a condizione di rimanere ad abitare a San Cirolamo e manda alcuni suoi discepoli come cappellani alla chiesa dei Fiorentini. I primi sono Cesare Baronio, Giovan Francesco Bordini, Alessandro Fedeli; più tardi s'aggiungono Tarugi, Velli ed altri ancora. |
Si stendono alcune costituzioni per la vita in comune, ma vi si intravvede la mano di Filippo, anche per lo spirito pratico che esse rivelano. Come ad esempio: "Che nessuno butti in terra nè ossa, né spine, nè cosa alcuna, nè vino che avanzi nel bevere, nè vino di bocca", "In sagrestia non si introducano lunghi ragionamenti nel tempo delle messe". Ancor più si rispecchia il pensiero di Filippo in questa altra regola: "Che alcuno non sia ardito sotto qualunque altro pretesto corteggiare nè accompagnare Cardinali nè altri, et si arricordino d'essere venuti per servire a Dio et alla Chiesa". Sono semplici preti, senza voti, legati solo a un minimo di obblighi, come quello dell'incontro serale nella preghiera e al refettorio, ove si svolge la discussione di casi di morale e di altre discipline sacre, per la reciproca formazione ed emulazione. Padre Giovenale Ancina, poi vescovo di Saluzzo, scrive a suo fratello Giovanni Matteo: "Vo' all'oratorio di S. Giovanni dei Fiorentini, ove si fanno ogni dì bellissimi ragionamenti spirituali, sopra l' evangelio, delle virtù e vitii, nell'Historia ecclesiastica, dell'istoria e vita dei santi. Alla fine si fa un poco di musica per consolare, ricreare gli spiriti stracchi da li discorsi precedenti. [ ...] Hanno per capo un certo reverendo don Filippo fiorentino, vecchio ormai sessagenario ma stupendo per molti |
rispetti, specialmente per la purità della vita [...] è un vecchio bello, pulito tutto bianco che pare un ermellino; quelle sue carni sono gentili et verginali et se alzando la mano, occorre che la contrapponga al sole, traspare come un alabastro".+
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Sono così istituiti i preti secolari dell'Oratorio. Lo spirito della comunità, che veramente può chiamarsi "famiglia", è nella modestia e nella semplicità, nella letizia e nella fraternità, nella libera scelta dei consigli evangelici e nella carità vicendevole.
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Possiede il dono di far rivelare anche i peccati più nascosti, di discernere le situazioni, di consolare i pentiti.
ALLA NAVICELLAMa ben presto nell'animo di Filippo non tarda a radicarsi la convinzione che è neces¬sario avere un ambiente tutto proprio, libero e indipendente. Grazie al papa Gregorio XIII, gli viene assegnata in perpetuo la chiesa di Santa Maria in Vallicella ed erige in essa la nuova Congregazione dei Preti e Chierici secolari, denominata dell'Oratorio. |
Vi è una festosità, una gioia commovente in quei primi anni della Congregazione. L'entusiasmo è tale che non si aspetta nemmeno sia finita la chiesa per usarla; nè si attende la fine dei lavori per andarvi ad abitare. "Non siamo più in casa d'altri, ma in casa nostra; e per dir meglio in casa della Madonna Santissima, Madre di Dio" scriverà ai parenti il candido Baronio. Nel gennaio 1578 i filippini sono tutti alla Vallicella. Solo padre Filippo rimane nelle stanzette di San Girolamo, ma ancora per poco. Non trasloca, infatti, perchè non vuole essere considerato il fondatore della nuova comunità, nè assumere l'ufficio di superiore: se ne sta appartato, in silenzio. Ma nel 1583, per comando del Papa, si unisce ai suoi e per vincere la tristezza del commiato organizza un bizzarro spettacolo di umiltà: preti e laici portano una solenne batteria di cucina e di altre semplici masserizie. Alcuni sostengono spiedi e padelle, altri sedie e vecchi libri, e chi una pentola, chi un piatto, chi un fiasco, chi una scodella e chi altre anticaglie logore e vili, mentre i passanti sorridono meravigliati. Il sano umorismo (la "santa bizzaria") diventa per Filippo uno strumento di apostolato e di conversione, un mezzo efficace per umiliarsi, per |
abbassare l'orgoglio proprio e altrui e acquistare meriti. Egli beve, per strada, con una fiasca assieme a fra' Felice da Cantalice; si tosa a metà la barba; in piena estate indossa una pelliccia di martora; comanda al Baronio, nel bel mezzo di un pranzo di nozze, di intonare il "De profundis"... Stranezze? Follie? No, evidentemente. Anche alla Vallicella Filippo vuole sistemarsi in alto. Due camerette isolate con una loggetta sui tetti, dove si ritira a pregare più vicino al cielo. Anèla a un'assoluta povertà: misere sono le sue vesti e vuole che i paramenti per celebrare la messa, in chiesa o nella sua cappellina, siano dei più poveri. Pretende di non avere nessun trattamento speciale, nessun riconoscimento della dignità di superiore ("primo tra uguali"), nessuna distinzione nè nell'abito, nè nell'appartamento, nè nel servizio. Al suo parco sostentamento provvedono, con l'elemosina da lui invocata, il cardinale Agostino Cusani e il cardinale Federico Borromeo, che gli sono devotissimi. Nè la vecchiaia, nè la stanchezza possono fiaccare il suo cuore divorato dall'amore, mentre la sua vita interiore ha come base l'umiltà, la carità, la mortificazione, la preghiera. La "Chiesa Nuova" diviene un faro di spiritualità |
che illumina tutta la città di Roma di quel tempo; è punto di riferimento per santi, papi, nobili, devoti, poveri, musicisti, medici, popolani...
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La Chiesa Nuova diventa faro di spiritualità per la Roma del suo tempo.
STRUMENTO DI DIOPer Roma Filippo Neri è uomo di cultura e di carità, di insegnamenti e di preghiera; per Roma è sacerdote santo, infaticabile confessore, educatore ingegnoso, amico di tutti e in special modo è consigliere esperto e richiesto direttore di coscienze.La sua piccola e povera stanza è meta soprattutto di moltitudine di umili persone del popolo, di sofferenti, di diseredati, di emarginati della società, di giovani, di fanciulli che accorrono a lui per avere consiglio, perdono, pace, incoraggiamento, aiuto materiale e spirituale: tutti lo chiamano "Padre". Passano così gli anni, ma i consigli sono sempre gli stessi, i più semplici e i più sicuri. È un fiorire di conversioni e di guarigioni, di profezie, di salvamenti, di apparizioni che fanno gridare al miracolo la città. Posa le sue mani sopra la testa abbandonata di un tale Gian Battista Modio e questi apre gli occhi e comincia a parlare; trae in salvo dalle onde del Tirreno, che stanno per inghiottirlo, il suo giovane |
penitente Luigi; la dodicenne Laura Moroni moribonda è sollecitata a pronunciare il nome di Gesù ed è risanata. Il più clamoroso dei miracoli di guarigione che gli si attribuiscono in vita è quello della breve resurrezione del piccolo Paolo Massimo, avvenuta il 16 marzo 1583: lo richiama in sè per confessarlo d'un peccato trascurato, indi lo consegna alla morte con animo perfettamente pacificato. Numerose sono anche le guarigioni che compie con il supplice tramite di una fede caparbia, la cui audacia ci sgomenta. "Non voglio che tu muoia!" dirà spesso. |
Ovunque si invoca il suo aiuto, l'imposizione delle sue mani; ma egli si schernisce: "Costoro pure vogliono che io faccia miracoli, ma io non so fare miracoli". Però non si rifiuta mai. Dove lo chiamano va, portando ora la guarigione invocata, ora la grazia altrettanto misteriosa di una rassegnazione serena nella morte. Fa ritornare in vita il giovane Paolo Massimo per confessarlo d'un peccato dimenticato. |
"Siate devoti di Maria": ama ripetere in ogni occasione del suo apostolato.
DEVOTO DI MARIAFilippo ha per Maria Santissima una viva devozione, che raccomanda continuamente ai suoi giovani: "Figlioli - dice loro - siate devoti della Madonna, siate affezionati a Maria". La sua vita, il suo apostolato, le sue opere sono sempre intessute della presenza di Maria.Fin da fanciullo, quando si recava nella chiesa dei Domenicani a Firenze, aveva imparato l'amore alla Vergine del Giglio con la recita del santo rosario. A Lei attribuiva il merito di averlo tratto indenne da un incidente capitatogli mentre cavalcava, per gioco, un asino nella stalla della propria casa. L'asino era sbandato, quindi precipitato sopra Pippo Buono, lasciandolo illeso. Questo fervore verso la Madonna gli resterà sempre nel cuore e quando i suoi discepoli vorranno chiamarlo "fondatore", egli schernendosi dirà: "Da Maria siete nati: Ella è la vostra Istitutrice e Madre". La sua giaculatoria preferita è: "Vergine e Madre, Madre e Vergine. Vergine Maria, Madre di Dio pregate Gesù per me", perchè con essa si danno |
due grandi titoli a Maria e perchè si nomina il frutto del suo seno amatissimo, Gesù. La venerazione per la Vergine si fa più salda e più profonda, pur nella costanza delle forme devozionali, negli atti della sua giovinezza, nella catechesi, nella visita delle Sette Chiese, nell'istituzione della Confraternita dei Pellegrini e Convalescenti, nei sermoni, nella recita della corona del rosario di sessantatre "Ave Maria". Il ministero sacerdotale di Filippo si può capire solo nella grande devozione del Santo verso la Madonna, riassunta nel detto: "Siate devoti di Maria, io so quel che vi dico". Quell' "Io so" racchiude una profonda convinzione ed una certezza dell'efficacia della devozione mariana. Questa, infatti, si proietta nel confessionale perchè Filippo impone la recita delle Ave Maria ai penitenti; si riflette sulla congregazione dell'Oratorio perchè la Madonna diventa Madre e Avvocata per i suoi figli; si inserisce nella costruzione della "Chiesa Nuova" perchè alla Vergine sono dedicati gli altari di tutte le cappelle, che ne rievocano la vita attraverso le tappe più significative. E la Madonna - raccontano le agiografie su san Filippo - mentre egli sta per finire la santa vita, vuole concedergli il dono della sua consolante presenza. Il fatto avviene nel 1594. |
Filippo è gravemente malato e già da venticinque giorni "la febbre gagliarda" lo consuma; data la sua tarda età, tutti disperano della guarigione. Una sera i medici dichiarano che la fine può essere imminente e la costernazione si diffonde nella casa. Molti salgono alla cameretta dell'infermo; i medici, perchè Filippo non sia disturbato, tirano le tende del letto e si traggono in disparte a conversare con altri. Passa un po' di tempo. Gravemente malato da 25 giorni, nel 1594 gli appare la Vergine e lo guarisce. |
All'improvviso risuona la voce di Filippo, tra la meraviglia dei presenti: "Ah, Madonna mia santa. Ah, Madonna bella. Madonna mia benedetta".
Accorrono i medici al letto e tutti possono vedere Filippo a mani alzate, sollevato, che dice quasi in canto: "No, io non sono degno. E chi sono io, Madonna mia cara, che siete venuta a visitarmi? Oh, Madre di Dio. Oh, benedetta tra le donne". E conclude: "Amici, io non ho più bisogno di voi. La Madonna Santissima è venuta da me e mi ha guarito". Infatti, vivrà un altro anno, mettendo in luce e facendo conoscere aspetti sempre nuovi del messaggio evangelico. |
La sua filosofia: guardare sempre al Cielo, perchè le cose terrene sono fugaci.
QUELLO CHE CONTAE POI?... E POI?...Francesco Zazzera studia con tutto l'ardore del suo bell'ingegno Diritto e già sogna di diventare qualche "pezzo grosso". Un giorno, Filippo lo chiama a sè e stringendolo affettuosamente al cuore gli dice: "Caro Francesco, tu sei fortunato. Beato te! Adesso studi, poi ti addottorerai, poi comincerai a guadagnare fior di quattrini, poi diventerai un grande uomo d'affari... E poi... Beato te, Francesco, beato te!". Il giovane studente, con orgogliosa compiacenza, pensa che Filippo parli serio e gli pronostichi uno splendido avvenire. Ma quando ode il Santo altre volte mormorargli con un accento di compassione: "E poi?... E poi?..." - due parole che dicono della fugacità del tempo e delle cose - comprende tutta la miseria della propria ambizione, scoppia in un pianto dirotto e non avrà pace se non quando, abbandonati gli studi, entrerà nella comunità oratoriana. |
PANE E PARADISO... Mentre un giorno Filippo si reca a visitare un ammalato fuori delle antiche mura di Roma, attraversando la campagna, vede un contadino che sta spaccando la legna. Con quel fare bonario che lo caratterizza, gli si avvicina e battendogli la mano sopra una spalla, gli dice: - Amico mio, che cosa stai facendo? - Eh, lo vedete, sto spaccando la legna. - Benissimo, e perchè? - Per la fabbrica dell'appetito, come si dice. - E solo per questo? - E anche per la famiglia, per i figli. - Ma solamente per questo lavorate? - E che per altro? - Ma... e il paradiso non conta nulla? Va bene lavorare ,per guadagnarsi il pane, ma bisogna anche lavorare per il paradiso. E proseguendo la strada il Santo, alzando due dita, grida al contadino: - Due cose, due cose: Pane e paradiso... Pane e paradiso!... |
Filippo compone una corona del rosario originale di sessantatre Ave Maria e con intercalari tutti mariani.
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Sente avvicinarsi il momento dell'addio e vive gli ultimi istanti con commozione.
BISOGNA FINALMENTE MORIREGiunge la fine della giornata terrena di Filippo: è l'alba del 26 maggio 1595. Celebrata la messa - l'ultima - cantando con insolita gioia il "Gloria" mentre dalla finestra della cappella guarda commosso il Gianicolo, confessa i penitenti e lascia a tutti ricordi commoventi.Viene la sera. Benedice i Padri del suo Oratorio e dopo la cena - sobria e parca come sempre - il Gallonio, suo affezionato compagno degli ultimi anni, lo aiuta a coricarsi, mentre Filippo, giulivo guardando in alto ripete: "Bisogna finalmente morire!". Nella notte il Gallonio ode un rumore insolito. Si precipita subito nella stanza del vec chio Maestro; lo trova agonizzante; non c'è più speranza. Accorrono i "suoi", s'inginocchiano accanto e pregano piangendo. Baronio, a nome di tutti, lo chiama: "Padre, voi ne lasciate senza dirci cosa alcuna? Datene almeno, vi preghiamo, la vostra benedizione". Ad un tratto Filippo spalanca gli occhi... le sue labbra hanno un movimento appena percettibile... |
abbassa il capo sul petto... il suo cuore grande e prodigioso dà ancora un fremito e come un vecchio ramo che non può più reggere al peso dei suoi frutti maturi, il Santo della gioia e della vita spira. Tutta Roma piange attorno al suo consolatore e in un tripudio di orgoglio e di fede lo acclama "santo". Muore in serenità, tra i suoi confratelli, la notte dopo la festa del Corpus Domini. |
Vent'anni dopo la Chiesa, raccogliendo quella voce di popolo, innalzerà Filippo Neri nella schiera dei Beati e il 12 marzo 1622, tra l'entusiasmo dei romani e di tutta la cristianità, lo glorificherà con la corona immortale dei suoi Santi. Da quella apoteosi sono già trascorsi quattro secoli, ma Filippo Neri - il Pippo Buono - è ancora vivo. Il suo corpo, vigilato amorevolmente dai suoi figli, dorme ora in un candore d'argento nella "Chiesa Nuova", il magnifico tempio che egli stesso innalzò nel cuore di Roma. E sorride ancora con la soavità di quei suoi occhi, così deliziosi e indescrivibili. E, con le mani miracolose, inarcate a benedizione, vigila su quanti si rivolgono a lui con fede e con fiducia e ancora oggi lo chiamano "Padre". |
12 marzo del 1622 viene innalzato alla gloria degli altari.
ATTUALITÀ DEL SUO MESSAGGIOUn interrogativo ci preme ora: il suo messaggio è moderno, attuale per l'uomo d'oggi? Per l'uomo che si dibatte freneticamente tra ansie, insicurezze, crisi, malcostume? Per una società che sta perdendo i fondamentali e insostituibili valori del bello, del buono, della legalità, della moralità?Filippo Neri, in modo singolare restaura la Chiesa a cominciare da se stesso, con un fermento nuovo di grazia, operando il bene, nel rispetto della personalità dell'individuo, vedendo nella storia la presenza di Dio che è misericordia e scoprendo dappertutto la gratuità del suo amore. Egli vuole che tutti siano impegnati nella santità, anche l'ultimo della società, non con l'uso di dure penitenze o estenuanti mortificazioni, ma nel fare la volontà di Dio, nel lavorare in pace, nel portare coraggiosamente la croce di ogni giorno, nel compiere fedelmente il proprio dovere quotidiano, nel l'amare il prossimo con gioia. Il suo modo di evangelizzare "da cuore a cuore", accompagnato sempre da una carità effettiva verso gli altri e da un grande amore per la Chiesa, |
produce serenità e letizia, non per dimenticare il mondo, ma per liberarlo dalla solitudine e accogliere gli uomini con tutte le loro debolezze e divisioni e sanarli. Il messaggio filippino è dunque sempre attuale, moderno, perenne perchè tale è il Vangelo; lo si può realizzare nell'Oratorio, palestra di virtù, incontro di cuori, attraverso l'arte, il sano divertimento, l'ascolto della vita dei Santi e della Parola di Dio, la preghiera, le opere di misericordia. La figura di Filippo Neri è uno dei grandi esempi per la nuova evangelizzazione che la Chiesa, alle soglie del terzo millennio, sta preparando. Di tutti i fautori della riforma nella Roma del Cinquecento, molti erano più conosciuti di lui. Filippo Neri non ha avuto cariche importanti nella Curia romana, non è famoso per i suoi scritti, non ha fondato una Congregazione potente con un governo centralizzato, non era romano di nascita: nonostante questo, solo lui ha il titolo di "secondo Apostolo di Roma". |
BIBLIOGRAFIAGALLONIO A.Vita del Beato P. Filippo Neri, fiorentino, fondatore della Congregazione dell'Oratorio, scritta e ordinata per anni, Roma 1601 (ristampa del 1995).BACCI P. G.Vita di San Filippo Neri fiorentino, Roma 1622 (e altre edizioni successive).CISTELLINI A.San Filippo Neri. Breve storia di una grande vita, Alba (Cuneo) 2007. |
Sono ricorrenti sulle labbra di Padre Filippo "detti" e "giaculatorie" con cui esprime l'impostazione fondamentale della vita cristiana.
«Chi vuol altro che Cristo, non sa quel che vuole». «Fuggite le cattive compagnie». «Non nutrite delicatamente il corpo». «Evitate l'ozio». «Pregate molto». «Frequentate i sacramenti, specialmente la confessione». «Pregate incessantemente il Signore che vi conceda il dono della perseveranza». «Come tu sai e vuoi, così fa' con me, Signore». «Che cosa potrei fare, Gesù mio, per compiacerti?». «Che cosa potrei fare, Gesù mio, per fare la tua volontà?». «Gesù mio, ti vorrei pur amare». «Io diffido di me stesso e confido in te, Gesù mio». «Io non posso far bene, se non mi aiuti, Gesù mio». «Io non voglio far altro, se non la tua santissima volontà, Gesù mio». «Io non ti ho mai amato e ti vorrei pur amare, Gesù mio».. «Gesù mio, fa' che non ti offenda».. |
«Gesù mio, se tu non m'aiuti, non farò mai bene».. «Io ti vorrei servire, Gesù mio, e non trovo la via».. «Signore mio, io vorrei imparar la strada d'andare in cielo».. «Gesù mio, la piaga del vostro costato è grande, ma se non mi tenete la mano sul capo, la farò più grande».. «Madonna benedetta, datemi grazia che io mi ricordi sempre di te».«Io non voglio far altro, se non la tua santissima volontà, Gesù mio». «Io non ti ho mai amato e ti vorrei pur amare, Gesù mio».. «Eh, fratello, quando vogliamo cominciare a fare il bene?».. «L'anima che si dà tutta a Dio è tutta di Dio».. «L'uomo che non fa oratione è un animale senza ragione». «Non tante devozioni, ma tanta devozione».. «Dove non c'è grande mortificazione, non ci può essere grande santità».. «Chi vuol esser obbedito assai, comandi poco».. «Non è tempo di dormire, perchè il Paradiso non è fatto pei poltroni». . |
PADRI E SUORE
DI SPIRITUALITÀ ORATORIANA |
OZIERI (SS) Piccole Suore di S. Filippo Neri Via S. Gavino, 9 tel. 079-787380 PERUGIA Suore Oblate di S. Filippo Neri Via degli Sciri, 1 tel. 075-5736178 ROMA Suore Oblate di S. Filippo Neri Via Monte Pertica, 23 tel 06-3729324 LODI Figlie dell'Oratorio Via P. Gorini, 27 tel. 0371-421985 UDINE Suore della Provvidenza Via P. Luigi Scrosoppi, 2 tel. 0432-23106 PONTON VERONA Poverette Casa di Nazareth Via Domegliara, 9 tel. 045-7730088 ALL'ESTERO: Inghilterra, Germania, Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Svizzera, Polonia, Austria, Messico, Stati Uniti, Argentina, Colombia, Cile, Brasile, Rep. Domenicana, Costa Rica, Canada, Sud Africa. |